Trance creativa e attraversamento del segno
testo pubblicato in Dissociazione e creatività. La transe dell’artista, a cura di Vincenzo Ampolo e Luisella Carretta, Udine, Campanotto editore, 2005, p. 89-94.
Il tratto incarnato
Quando dipingo, affinché i segni attraversino il corpo, devo rendermi disponibile e aperta ad accoglierli, devo raggiungere uno stato di concentrazione tale che l’occhio, la mano e il soffio siano in perfetta sintonia. Potremmo chiamare questo stato non ordinario della coscienza “trance creativa”.
Cerco di descrivere questo stato con le parole e il ritmo della pittura.
La pittura morde la vita. Il colore penetra il colore, pienamente, fortemente, avidamente, caoticamente…
Il colore assetato di colore.
La linea deve essere libera, rapida, istantanea : il tratto morde nel foglio il colore.
Bisogna che la velocità del tratto superi la velocità del pensiero. Colore misto a colore sulla superficie del foglio. Il tratto incarnato. Il tratto si fa carne, blu rosso giallo nell’arena del foglio.
Come freccia scoccata
Come fulmine nel cielo
Come eruzione vulcanica
Come straripamento di fiume
Come onda che muove il mare intero
Il tratto sovrano assoluto regna sul campo incontaminato del foglio
Io mostro i segni
I segni emergono in me
Straripano
Si riversano sul foglio
Segni di vita, di sole, di parto, di eruzione, di grido, di dialogo, di caccia, inseguimento, violenza
Segni di morte-vita
nascita distruzione
cielo terra
colore freddo colore caldo
La violenza degli elementi naturali si esprime nello spazio del foglio
La violenza dell’umano attraversa il foglio
I miei segni-forze si sviluppano nello spazio, dimostrano attrazione e repulsione, forze che traducono parole, situazioni di comunicazione o incomunicabilità: dialogo e non-dialogo, grido, parola.
I segni veicolano forze cosmiche, la forza degli elementi: acqua, terra, aria, fuoco.
I miei segni descrivono orbite, risultato di opposte tensioni centrifughe e centripete, i segni-forze incarnano anche situazioni di estrema angoscia e di terrore: inseguimento di prede, accanimento di predatori, il respiro della preda e del predatore.
Il momento della lotta per la sopravvivenza è fondamentale, necessario alla vita. E come tutto ciò che è vitale mi interessa, poiché i miei segni non raccontano nulla di inessenziale, ma cercano, nel loro discorso scarno, il fondamento del biologico, del pre-umano. L’umano è sempre rudimentale. Ciò che rende visibile ciò che è nascosto è proprio il carattere rudimentale dell’arte, poiché l’artista vuole pensare tutto ciò che esiste. Ma è rudimentale pensare tutto ciò che esiste. Per essere totale, l’immagine deve essere rudimentale. La creazione artistica è in rapporto all’essenziale, alla condizione nuda dell’umano, non ha niente a che vedere con la produzione estetizzante, la pratica dell’arte è un confronto, una lotta, una tauromachia secondo l’immagine di Leiris, l’opera è l’equivalente del corno acuminato del toro che, col suo carattere minaccioso, conferisce una realtà umana all’arte.
Tabula rasa
Presupposto della trance artistica è l’azzeramento delle abitudini percettive. Saper vedere con occhi nuovi, rendere visibile il non visto, l’invisibile.
Davanti al foglio bianco, alla tela bianca, non mi trovo davanti al vuoto, al contrario. Il bianco della tela o del foglio è già totalmente colonizzato, come afferma Deleuze: “Ce serait une erreur de croire que le peintre travaille sur une surface blanche et vierge. La surface est déjà tout entière investie virtuellement par toutes sortes de clichés avec lesquels il faudra rompre”.
Lo stato di trance aiuta ad annullare provvisoriamente gli automatismi della percezione che ci impediscono di vedere con occhi nuovi. La difficoltà è quella di cominciare dal bianco sovraffollato di luoghi comuni, di immagini stereotipate.
L’isolamento allora è necessario. Bisogna innanzitutto sapersi difendere dal flusso di immagini e suoni che colonizza il pensiero creativo, e che in buona parte proviene dai media.
E allora molto tempo e molta pratica sono necessari per ritrovare la creatività, la volontà di attività simbolica che la nostra società tende in vari modi ad azzerare.
Nell’atelier invece, il corpo del pittore si libera, si confronta con l’origine del corpo e della lettera, con il corpo della scrittura. Il corpo del pittore opera sulla tela orizzontale come Tàpies nel suo atelier: “Le tele realizzate sul piano orizzontale, territorio governato dal pittore, espongono tutto ciò che è incluso in quel gravare del corpo sulla pasta e la polvere: legame col suolo, radicamento, comunicazione in profondità, solitaria. Erette, come muri e specchi, propongono invece una comunicazione aperta, solidale, amichevole” (Georges Raillard, Tapies nell’atelier, in Antoni Tapies, Conversazioni con G. Raillard, a cura di Giuseppe Zuccarino, Graphos, Genova, 2002 ).
Dipingo sulla tela o sulla carta disposte orizzontalmente sul suolo, dipingere come arare, il solco è il segno.
La trance creativa ci riporta a stadi originari della coscienza, laddove prende inizio la relazione tra corpo e scrittura.
Leggiamo ancora a proposito di Tàpies: “Terra e pittura (1956) o Serranda metallica e violino (1956) … Opere del genere non sono metafore, ma s’impongono alla nostra vista, ai nostri sensi, grazie a ciò che in esse vibra del ritmo di un corpo – spirito e materia anteriori alla separazione logica, unità recuperata nella visione di una Forma nuova, sempre in movimento, di uno scaglionarsi di rinascite […]
c’è la stanza […] dove si svolge l’attività artistica, col raccogliersi dell’energia, la decisione immediata, la sorpresa e la ripresa. Ma il lavoro sta nella continuità, nell’unità di un movimento dell’intero essere – affetti, impegni, cultura, riflessione, intelligenza, scrittura, sensibilità ad un tempo, lo stesso tempo, quello dell’“unico tratto di pennello”, come dicono i Cinesi” (Raillard, op. cit., sottolineature mie).
L’artista sente più di chiunque altro l’unità essenziale del mondo. Pensieri e sensazioni convergono in un flusso unico sulla carta e sulla tela.
Per ritornare a un linguaggio primitivo, è necessario fuoriuscire dalla logica binaria: in realtà, nelle lingue primitive sussiste una sorta di coincidenza dei contrari, il sacro e l’esecrando sono espressi dalla medesima parola :“sacer” in latino, “agios"in greco.
Quando dipingo e iscrivo i miei segni sul foglio penso a una cosa e al suo contrario, non posso impedirmi di procedere per poli opposti (nascita /distruzione, vita / morte, dialogo / non dialogo, luce / oscurità)
I mei segni sono fondamentalmente eraclitei, poiché dagli opposti deriva “i callisti armonia”, l’ armonia bellissima…
I segni-forze significano opposte tensioni: ho dipinto una dea dei serpenti, personaggio che tende al difficile equilibrio fra due poli opposti incarnati dai serpenti che brandisce con le braccia aperte.
Cosmos / caos
Attraverso la pratica della “trance creativa” cerco di raggiungere l’obiettivo fondamentale della mia pittura: rendere visibile le forze invisibili.
Nei dipinti del ciclo Le metamorfosi del sole si possono riconoscere embrioni in formazione, cellule che si riproducono, unioni, separazioni, morti, rinascite continue.
Nei segni appare evidente il legame tra la riproduzione e il moto delle stelle, forze sessuali di creazione e riproduzione della vita, forze siderali dell’universo. La tensione che anima il cosmos-caos. Ormai è noto, tutti i sistemi tendono al caos e all’errore, il cosmos – o ordine – è sempre più una finzione intellettuale.
Affinché la mano possa tracciare, tradurre sulla superficie il ritmo puro del corpo, ci vuole una pratica intensiva, una ripetizione dello stesso segno, che non sarà mai identico a se stesso. La ripetizione garantisce l’epurazione del segno, il raggiungimento del carattere essenziale, l’eliminazione del superfluo.
Ciò che resta è il segno nudo che è in rapporto con le forze cosmiche.
Il caos emerge dalla mescolanza dei colori. La casualità governata della mescolanza di sostanze liquide, gli inchiostri, sulla superficie della carta.
Il segno asciutto tende a separare, il segno liquido tende alla fusione degli elementi, fusione e separazione continua, come alle soglie del biologico.
Memoria del segno. Dipingo questi segni perché sono greca. Appartengo al mondo del mediterraneo orientale, dove segno e sigillo sono la stessa cosa. E’ un mondo produttore di segni e di scritture, dove si fa commercio di lettere a bordo di vascelli. Sono cretese, assira, cipriota, babilonese, egizia… Ho percorso il mediterraneo alla ricerca della scrittura in comune, ho ritrovato il cerchio solare, il labirinto, il minotauro, la nave…i segni dell’ umano che si possono riassumere a temi fondamentali: accoppiamento, caccia, guerra, morte, vita.
I miei segni partono dal mondo degli adoratori del sole, dei cacciatori, dei predatori per giungere al mondo dell’agricoltura e della tessitura.
I miei segni intendono essere l’incarnazione del mito, poiché “ciò che è mitico è realistico e ciò che è realistico è mitico” (Pasolini).
Alcuni anni fa dipingevo segni su superfici terrose, spesso ocra rossa o ocra d’oro, il segno era ieratico, inciso come su di una roccia, stabile. Ora il segno si libra nell’aria, non si appoggia sul suolo verticale dei pigmenti; esso si sviluppa nello spazio, ha acquisito leggerezza, c’è l’aria nel tratto d’inchiostro, come usano dire i pittori cinesi. I segni volteggiano nel vuoto come per abolire la forza di gravità.
Tracciare segni significa per me resistere al dominio di una conoscenza puramente razionale del mondo.
I miei segni, sintesi dell’umano, difendono una conoscenza intuitiva, all’interno di una realtà soggetta all’impero della ragione scientifica e tecnologica. Anche la scienza riconosce l’importanza della conoscenza intuitiva.
Ernesto Sabato, pur avendo una formazione scientifica, si oppone ferocemente all’impero della ragione difendendo il pensiero mitopoietico contro una cultura caratterizzata da un’arroganza positivistica e disumanizzata: “Le surréalisme m’apparut comme un feu purificateur contre une culture déshumanisée. On ne sera donc pas surpris que j’accorde dans ces fragments autant d’importance à la pensée mythopoétique et à l’homme que l’arrogance positiviste des Européens a qualifié de “primitif”. L’histoire ne fait jamais marche arrière, mais dans l’esprit tout va vers son contraire; et l’excès de scientisme nous conduit à son rejet” (Les écrivains et la catastrophe).
La scienza non potrà dare delle risposte alla questione dell’esistenza umana, nella riflessione di Sabato la conoscenza oggettiva lascia il posto allora ad una conoscenza tragica. Di fronte al vasto apparato di dominio universale, l’attività creativa assume un alto valore di conoscenza. La trance creativa permette di raggiungere delle fasi della coscienza cui non è possibile giungere altrimenti. Attraverso la trance creativa si può ritornare all’archeologia del soggetto, fare il viaggio a ritroso alle soglie del biologico, recuperare memorie sepolte da secoli di vita collettiva sempre meno vicina al mondo naturale.
Viviamo in un ambiente costituito in grande percentuale da sostanze artificiali. Toccare la pietra, l’acqua, il legno, il ferro sono esperienze che non rientrano nella vita di ogni giorno eppure sono gesti così necessari alla vita.
La trance creativa cerca di ritrovare quel rapporto fondamentale con la linfa vitale e allo stesso tempo è un atto di resistenza ad un universo artificiale dominato dall’istinto di morte e di dominio.
Afferma Deleuze: “: l’art, c’est ce qui résiste: il résiste à la mort, à la servitude, à l’infamie, à la honte”. Dipingere è una forma possibile di resistenza a una società omologante dove l’attività simbolica è annullata, dove il principio unico è il mercato e la logica della produttività.
La pittura ha per me questa funzione essenziale: essere flusso che si coniuga con altri flussi: intenso, istantaneo e mutevole, sospeso, come le forze cosmiche, tra una creazione e una distruzione.
Riferimenti bibliografici
Bond Edward, Grammaire de l’art et logique de l’humain, Le monde (27/9/2003).
Deleuze Gilles, Pourparlers, Minuit, 1990.
Idem, Francis Bacon. Logique de la sensation, Paris, Seuil, 2002.
Leiris Michel, De la littérature considérée comme une tauromachie, Paris, Gallimard, 1939.
Raillard Georges, Tàpies nell’atelier, in Antoni Tàpies, Conversazioni con Georges Raillard, a cura di G. Zuccarino, Graphos, Genova, 2002 p. 24, 35, e 11.
Sabato Ernesto, L’écrivain et la catastrophe, Seuil, 1986, p. 62, 8 e 21.
Idem, La résistance, Paris, Seuil, 2002.